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Partita del colle: fallimento del Pd

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Ci si aspettava qualcosa di nuovo, un periodo che potesse rilanciare l’immagine del partito democratico. Gli elettori rimasti fedeli nonostante il caos politico, si aspettavano, viste anche le proiezioni degli altri partiti prima delle elezioni, una ventata di aria calda e serena. Così non è stato e il massimo del decadimento si è raggiunto con le votazioni del Presidente della Repubblica.

Già la maggioranza più che risicata, frutto di una campagna elettorale alquanto scadente non faceva presagire nulla di buono. La comunicazione di questi tempi non deve essere trascurata, ma il Pd, forse convinto di vincere facilmente, non si è proprio degnato di curare nei minimi particolari, in maniera dettagliata, la propria campagna elettorale. Il risultato è che il Pdl e il M5S hanno ottenuto più di quello che ci si aspettava. “Ma pazienza” – si dicevano gli elettori affezionati – “si deve formare un Governo e preme avere un Governo serio; serve avere un nuovo Presidente della Repubblica e preme averne uno che possa portare aria di cambiamento e formare il nuovo Governo che possa a sua volta traghettare il nostro Paese verso acque più tranquille e verso porti più sicuri”. La scelta del Presidente della Repubblica era una scelta che doveva accontentare gli elettori, una scelta coscienziosa ricca di responsabilità. Insomma una scelta che doveva essere ponderata per bene in vista anche della situazione del Paese. E qui ritengo che ci sia stato il grande fallimento del Pd, l’occasione mancata per rilanciare l’immagine del partito e dello stessa segretario Bersani.

Pensare di fare un prova di forza proprio con l’elezione del Capo dello Stato credo sia stata un’ingenuità colossale. Ritenere di testare la solidità del partito in tale occasione ha rappresentato il colpo di scure finale che ha fatto collassare l’intero partito. Il nome di Prodi avrebbe spaccato le varie fazioni politiche, ma ancora peggio, ha diviso lo stesso Pd. Ed è inutile accusare i cosiddetti ‘franchi tiratori’ che non hanno appoggiato la scelta del candidato del proprio partito. Inutile prendersela con i ‘traditori’ che hanno creato una crepa profonda alle basi del partito. Non era il momento di provare l’unità del Pd in una situazione così complicata e delicata dell’agenda politica. Unità di cui gli stessi protagonisti politici non hanno mai avuta la certezza. Gli stessi elettori, visti anche i risultati delle elezioni, ipotizzavano che questa coesione tutto sommato non esisteva al cento per cento. Nominare Prodi come candidato alla presidenza della Repubblica ha dimostrato una fitta cecità di Bersani che non ha tenuto conto di nulla, né di un degno candidato come Rodotà né del parere degli elettori Pd né tantomeno delle conseguenze che avrebbe scaturito la proposta di Prodi.

Che sia stato tradito dagli stessi componenti del partito è una visione troppo semplicistica. Si sa che all’interno del Pd ci sono varie correnti, pronti a fregarsene altamente dell’unità del partito ma sono solo vicini a vecchie logiche politiche che ormai sono totalmente obsolete e andrebbero spazzate vie. Nominare Bersani come capro espiatorio non mi piace, perché ritengo che il fallimento interessi tutta la corrente del Pd, un partito distrutto, che si deve rifondare secondo nuove logiche altrimenti si troverà sempre nella stessa posizione di stallo, ostaggio di vecchi personaggi che non perdono occasione di portare alla luce comportamenti di antipolitica.

In tutto questo marasma ci sono, ormai completamente smarriti, gli elettori affezionati: ecco, soltanto loro sono gli unici ad essere stati traditi.


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